Il gioco ed il giocattolo. Il gioco non è un “passatempo”

luglio 31, 2011 § Lascia un commento

 stefano vitale

“Lanciare, correre, saltare sono dei movimenti spontanei dell’uomo. Basta provare a lanciare una palla ad un bambino per rendersi conto che il suo primo desiderio è quello di bloccarla, toccarla, rilanciarla con le mani o coi piedi. Nel vedere lo stesso bambino correre in un prato, rotolarsi per terra, rialzarsi, correre ci possiamo rendere conto che la sua scoperta del mondo passa attraverso quei movimenti ludici. Egli sta giocando e così si appropriadi quello spazioscoprendo possibilità d’azione e di piacere.” (Cotronea, Vitale,  1985, pag. 9).Questa apertura del primo libro di raccolta di giochi della tradizione infantile curato dai Cemea del Piemonte nel lontano 1985 trova ancora un riscontro nella vita reale dei bambini d’oggi, segno di un valore universale del gioco che travalica i decenni e forse i secoli.

Ormai molti studiosi ed operatori sono concordi nell’affermare che, nella crescita del bambino, il gioco riveste un ruolo di capitale importanza. Anche le istituzioni vanno nella stessa direzione. Purtroppo, a volte, vengono privilegiate strutture troppo rigide dimenticando che tra “i giochi alla buca della sabbia nelparco e gliapprendimenti sportivi istituzionalizzati, esiste tutta unagamma di attività dicui i bambini non possono essere privati e dimentica che certe acquisizioni, tra le più fondamentali, non passano attraverso rigide sequenze di lezioni guidate” (Andrè Schmitt, “Au quatre coins des jeux”, Ed. Scarabée, 1984, Paris, pag. 13).

Vi è, infatti, tutta una dimensione di attività ludiche che comprendono anche  i giochi ed i giocattoli tradizionali che vanno sollecitate, salvaguardate, promosse e vi è unospazio di gioco(che è uno spazio fisico, ma soprattutto mentale) che va utilizzato in chiave consapevolmente educativa.

Nella nostra prospettiva, giocare non solo un “passatempo”, ma uno strumento essenziale per fare il nostro mestiere dando ai bambini unospazio di libertà ed’iniziativa senza eguali.

 

Molto si è parlato, in questi anni, del rapporto che vi sarebbe tra “reale e virtuale”: il problema è serio perché da più parti si lamenta giustamente che i nostri ragazzi sono “in fuga” dalla realtà. La quale, non dimentichiamolo, non è sempre gradevole e piacevole.

Il problema di fondo resta quello della costruzione di un senso della realtà, connesso inevitabilmente con le modalità di relazione (e d’apprendimento) che sarebbero in azione tra soggetto e mondo esterno.

La parola “senso” può essere vista da angolazioni diverse: viene dal latino “sensum”, sentire, percepire e quindi esprime un preciso legame con l’esperienza sensibile. Ma “senso” rinvia anche a coscienza, consapevolezzadi sé e delle proprie azioni e può essere inteso come sinonimo di un criterio generale intuitivo ed intellettivo: nel linguaggio comune, infatti, si parla di “senso della giustizia”, di “senso critico”, di “senso pratico”. Per questa via il termine “senso” si associa a quello di “significato”: il senso letterale, spirituale, translato, allegorico… C’è una dimensione ermeneutica nella parola “senso” alla quale non si può sfuggire. Ma il senso è anche la direzione, il “verso dove” delle cose. Per noi che ci occupiamo di educazione la direzione del senso della realtà e delle persone che fanno e vivono la realtà è un problema centrale. L’identità degli individui, dei bambini in particolare, passa attraverso la dialettica tra la percezione concreta del reale in quanto base materiale, fisica e la costruzione del senso (direzione e significato) che la realtà assume per noi. Il gioco, la dimensione ludica dell’esistenza (che per il bambino non è una semplice parentesi, ma investe tutto il suo essere), può essere un forte elementodi costruzione di senso della realtà. Il gioco sta da sempre sospeso tra il reale ed il “virtuale”, tra la concretezza della realtà e l’illusione del sogno. Il gioco, come detto, esiste solo in presenza di un attolibero e volontario di un soggetto che accetta di giocare: in quel momento si entra nel “cerchio” del gioco ovvero in una realtà dentrola realtà. Ci si muove in un ambito che ha le “sue” regole e che, spesso, solo chi gioca (e conosce quindi il gioco) conosce e comprende. Giocare significa uscire dai circuiti della quotidianità, della realtà ed entrare in una diversa realtà nella quale non siamo più quelli di prima. Poi, il gioco finisce e si torna dove eravamo prima. Ma molte cose possono essere cambiate, dentroe fuori di noi. Al gioco non si resta indifferenti.

 Le dimensioni educative del gioco

Il gioco ele attività ludiche sono dunque uno dei cardini sui quali costruire l’organizzazione di un quadro di attività da proporre ai bambini.  Esso implica la consapevolezza dell’intrecciarsi di diverse dimensioni indispensabili allo sviluppo globale del bambino.   

La dimensione biologica: gli effetti delle attività ludiche sulla dimensione biologica sono fuori discussione. E’ argomento tra i più noti ed acquisiti da tempo. A tutti è noto come l’organismo possa trarre dei benefici dalla pratica motoria: le grandi funzioni respiratorie, circolatorie …

La dimensione cognitiva: l’intelligenza psicomotoria: la questione è un po’ più delicata: si può parlare di un’influenza del gioco sulla dimensione “cognitiva” della personalità? Ha una funzione nello sviluppo intellettuale del bambino?

La scissione dell’essere umano in due sostanze di natura diversa, l’anima ed il corpo è il pregiudizio nascosto dietro all’idea che per molto tempo si è coltivata. Per parte nostra rifiutiamo completamente queste formedi dualismo e consideriamo ilbambino come una totalità che agisce, un’unità psicomotoria. E’ chiaro che, da questopunto di vista, le condotte motorie corrispondono ad un modo di essere e di agire della persona che si impegna, sia pure con mezzi diversi, sul piano fisico in maniera altrettanto intensa che nelle condotte verbali. La personalità può esprimersi con eguale ricchezza su piani e registri diversi, e quindi anche a partire dal piano motorio.

E’ a partire dalle sue attività sensoriali, dalle sue percezioni costantemente rettificate, dai suoi movimenti, dalla sue manipolazioni, dai giochi, dall’insieme delle sue condotte motorie che il bambino apprende e si sviluppa.

Si può davvero dire che è il fiorire dell’intelligenza psicomotoria che sta all’origine dell’intelligenza formale dell’adulto. Intelligenza e motricità sono collegate, dunque, da un movimento dialettico: grazie alla sua progressiva costruzione a partire dagli scambi motori con l’ambiente, l’intelligenza appare condizionata dalla motricità e in virtù della proiezione retroattiva dei suoi schemi sull’azione e nell’azione stessa, l’intelligenza si rivela capace di produrre motricità.

La dimensione sociale e relazionale: la comunicazione motoria : anche la dimensione sociale può essere seriamente stimolata dalla pratica ludica. Per prima cosa, la maggior parte delle attività ludiche si realizzano in gruppo. Ciò che caratterizza questo genere di attività è dunque la comunicazione motoria. Il linguaggio è significativo: il campo d’attività è il luogo per un “incontro” motorio e ludico dove i partecipanti daranno vita ad uno “scambio”. Non c’è più solo l’azione: ora c’è interazione. Il comportamento di un individuo acquista un significato nuovo se viene connesso al comportamento dei suoi compagni. E’ facile intuire il grande valore educativo che può allora investire la comunicazione motoria.

La dimensione affettiva : lo spazio ludico-motorio è uno spazio sociale ed affettivo. Il bambino proietta se stesso con forza nel modo che ha di percepire un ostacolo, uno spazio, un oggetto, un compagno. Le condotte motorie sono permeate da un inconscio motorio che è responsabile del buon esito o meno di un’azione, di un comportamento.  L’affettività diviene allora la chiave di volta delle condotte motorie. Se è vero che la pratica motoria e ludica ci obbliga a mettere in gioco le risorse più profonde della nostra personalità, sino a provocare l’individuazione di un inconscio motorio allora appare evidente l’importanza che può assumere l’uso pedagogico di un campo di attività così ricco di effervescenti espressioni.

Un “rivelatore sociale”

Ogni epoca, ogni società ha la sua “forma” di gioco dominante. Pierre Parlebas, sociologo alla Sorbona ha introdotto nell’ambito delle scienze umane un concetto interessante: quello di etnomotricità la cui definizione suona così: Campo e natura delle pratiche motorie considerate sotto il profilo del loro rapporto con la cultura e l’ambiente sociale nel quale si sono sviluppate. Questo autore ha messo in luce due fattori importanti connessi al concetto di etnomotricità

a. Il peso dei fattori socioculturali

Alcune pratiche psicomotorie corrispondono a comportamenti individuali, ma intensamente  plasmati da un rituale sociale sempre presente. Così, la misurazione delle prestazioni, le classificazioni gerarchiche, la ricerca dei record, il grado consentito di violenza fisica, l’organizzazione dello spazio, l’uso di certi giocattoli o la pratica a di specifici giochi da parte delle bambine o dei bambini,  la struttura del duello, ecc. sono da considerarsi come particolarità etnomotorie della nostra attuale cultura ludica.

b. La radice sociale della motricità

Se le interpretazioni del contenutosociale delle pratiche ludiche variano, vi è tuttavia un fatto riconosciuto: le tecniche del corpo ed i comportamenti motori sono modellati dal gruppo sociale. Ogni tecnica, ogni comportamento, tradizionalmente appreso e trasmesso, si fonda su una specifica sinergia tra individuo e contesto sociologico.

Ma sostituire il vecchio diktat bio-meccanico con un nuovo primato sociologico sarebbe come evitare Cariddi per finire tra le fauci di Scilla. Al contrario, è molto più interessante considerare l’incontestabile peso sociale come uninsieme di condizionamentiinformali che si aggiungono e si mescolano ai condizionamenti formali delle regole ludiche, per poi osservare in che modo l’individuo, che agisce e che decide restando all’interno di questo doppio gioco di condizionamenti, riesca ad operare le sue scelte motorie e comportamentali ed a sviluppare le proprie strategie ludiche.

Da questopunto di vistal’uso di specifici giocattoli va letto come una pratica sociale che assume un ruolo importante nell’educazione dei bambini, sia dalla loro più tenera età.

 Il giocattolo

Gran parte dei ragionamenti che abbiamo svolto sul gioco sono da riprendere a proposito del giocattolo. Gioco e giocattolo rappresentano un anello di una catenadi situazioni e problematicheche s’intrecciano e che riguardano i bambini quanto gli adulti.

Se il gioco è un elemento fondamentale del rapporto tra il bambino ed il suo ambiente, il giocattolo rappresenta uno degli strumenti più significativi che funge da “medium” a questo processodi crescita e d’apprendimento. I bisogni dei bambini e dei ragazzi trovano nei giocattoli un supporto indispensabile. Ed anche in questo caso siamo di fronte ad un fenomeno “transdisciplinare” che coinvolge riflessioni educative e pedagogiche, ma anche elementi sociologici, antropologici e culturali in senso proprio. Ciò che va bentenutopresente è che il giocattolo risponde a funzioni diverse:

1.   c’è il giocattolo da amare

2.   il giocattolo che stimola funzioni psico-motorie

3.   il giocattolo che aiuta nell’imitazione e nella drammatizzazione

4.   il giocattolo che stimola apprendimenti intellettuali

5.   il giocattolo che favorisce l’osservazione di fenomeni particolari

6.   il giocattolo che stimola rapporti sociali

7.   il giocattolo che permette esplorazioni inedite dell’ambiente

e la lista potrebbe continuare…In realtà tutte queste funzioni corrispondono a delle possibilità d’azione e di crescita connesse, appunto, con lo sviluppo del bambino: pertanto, a seconda dei momenti e delle situazioni ambientali tale aspetto o tal altro assumerà un ruolo ed un significato importante.

Per restare in una dimensione di “classificazione” ricordiamo gli eventi ludici ed i giocattoli più significativi:

 

1.   Esercizio ed esplorazione

Nella prima infanzia il gioco è scopertadi possibilità e sperimentazionedelle potenzialità del proprio corpo. La curiosità “sensibile”, l’attenzione, poi l’equilibrio sono molto sollecitate dal giocattolo e dal gioco.

Non dimentichiamo poi il valore affettivo del giocattolo (l’oggetto transizionale di Winnicott).

2.   Imitazione ed espressione

L’immaginazione, ben presto, “va al potere”: i giochi simbolici, i giochi di finzione, i giochi di ruolo permettono ai bambini di esprimere sentimenti, di rivivere situazioni, di apprendere comportamenti sociali, di contenere ansie e di sviluppare una propria visione del mondo e delle cose. Si parla giustamente di giochi d’imitazione, ma non dimentichiamo che è anche prima giocando e poi vivendo nella realtà che i bambini apprendono a relazionarsi agli altri ed a percepire il proprio “potere” sull’ambiente che li circonda.

3.   Socializzare

Poi interviene, in modo più evidente, il “mondo esterno”: il gioco ed il giocattolo divengono strumenti di contatto, di scambio con gli altri. All’inizio i bambini giocano “uno accanto agli altri”, poi, a poco a poco, “gli uni con gli altri”.

A partire dai 6/7 anni i bambini amano giocare “con gli amici”. Ed assume un valore più preciso la competizione, lo sforzo fisico, ma anche il ragionamento, la tensione per la riuscita di un gioco in cui ci siamo misurati “con noi stessi”…

4.   La regola

Ma sarà più tardi, verso i 10/12 anni, che il bambino imparerà a partecipare ad un gioco rispettando tutte le regole. E ci sarà maggior pazienza: i giocattoli saranno più complessi, richiederanno più attenzione e cura nella manipolazione…

 5.   Le armi-giocattolo

E’ una questione “eterna”. Vi è chi condanna senza appello i giocattoli “guerreschi” e molti genitori non amano regalarli ai loro figli. Vi è chi pensa che è meglio giocare “per finta” con una pistola piuttosto che coltivare aggressività represse che potranno riemergere pericolosamente.

Per conto nostro è estremamente importate la “presenza dell’adulto” in quanto figura di riferimento così come è importante una sorta di “credito positivo” verso i bambini che giocano con le armi-giocattolo. Si può e si deve fare ”educazione alla pace” limitando le manifestazioni di aggressività dei bambini ( e quindi anche l’uso violento di “giocattoli di guerra”), ma si può e si deve fare “educazione alla pace” anche attraverso una sdrammatizzazione dei desideri di aggressività che tutti ci portiamo dentro. Il giocattolo può avere una funzione essenziale in questo processo di sublimazione e di esteriorizzazione utile a “deviare” e canalizzare impulsi potenzialmente negativi.

Uno spazio potenziale

Winnicott, che abbiamo ricordato per la questione dell’oggetto transizionale, ha mostrato, coi suoi studi e la sua esperienza diretta, che esiste nel bambino una sorta di  spazio che, fin dall’inizio della vita, bisogna assolutamente proteggere, sviluppare, coltivare con grande cura e rispetto.

L’adulto può introdursi in questo spazio non per confiscare o vietare, ma per attivare situazioni di comunicazione, di scambio. Questo spazio egli lo ha chiamato “area intermedia”, “spazio potenziale”. La cosa interessante, dalpunto di vista diuna riflessione sul giocattolo, è che per Winnicott questo spazio non va necessariamente riempito di giocattoli particolari: è il bambino che giocando stabilisce quali siano questi giocattoli. Soprattutto non è necessario che vi siano dei giocattoli “sofisticati” a disposizione dei bambini. Mentre è importante che il bambino possa essere attivo e protagonista. Winnicott parlava di una realtà intermedia che non è né realtà, né vita interiore. Si trattadi uno spazio diazione in cui il bambino agisce (ed è quindi concreto), ma è anche uno spazio che vive nell’ordine dell’immaginario: è lo spazio, appunto, del gioco.

La creatività del bambino passa dunque attraverso questospazio di giocoche viene tanto più coltivato quanto più resta aperto… Per questo è importante far riferimento a giocattoli funzionali e poco sofisticati, ad un giocattolo che sia testimonianza  di un processo, di un’azione del bambino. Il bambino deve poter proiettare nel giocattolo “qualcosa di sé”.

 

IL BISOGNO DI ESPRESSIONE LUDICA

L’espressione

L’espressione è una delle forme del più generale bisogno di attività del bambino. Essa è un mododi agire personale, ma anche una modalità di relazione con gli altrie con ilmondo. Insomma l’espressione si collega alla comunicazione. Ma a quella “autentica” che parte da un’esperienza personale ed esprime, appunto, il bisogno di manifestare un proprio “punto divista”.

“Comunicare per trovare una posizione”, dice Robert Lelarge (“L’expression”, pag. 4), per esprimere il proprio desiderio di agire nella realtà: questo dovrebbe essere la radice dell’espressione nel bambino piccolo. Ed allora: correre, remare, parlare, leggere, ridere, piangere, gridare, danzare, disegnare, immaginare, nascondersi e nascondere, gattonare, modellare, dipingere, strattonare, rovesciare, succhiare…sono tutte forme dell’espressione del bambino. Che viene senza dubbio sollecitata dal rapporto con gli oggetti del mondo, d cui fanno parte anche i giocattoli d cui può disporre.

Nei gesti il bambino esprime la sua personalità: il modo di muovesi, la mimica, il modo di ridere,, le espressioni del viso… sono tutte modalità comunicative che vanno allenate, modellate, scoperte anche con l’aiuto dei giochi e dei giocattoli. Soprattutto così quando si è piccoli.

Come si forma questa personalità? Certamente attraverso una “lenta maturazione del nostro ruolo nella famiglia, nella società e nelle esperienze della vita quotidiana, buone o cattive che siano” (Robert Lelarge, “L’expression” pag. 4). Questa padronanzadi sé e delleproprie capacità espressive e comunicative incomincia sin da piccoli ed è per questo che la pratica del gioco e la scelta dei giocattoli ha un ruolo importante.

L’affettività ludica

Presente in ogni momento della sua vita, il giocattolo è un compagno naturale del bambino. Questi, infatti, ritrova il gioco in ogni oggetto e in ogni momento può trasformare la sua funzione originaria: automobili abbandonate, utensili domestici e familiari, persone, spazi, segni sono altrettanti incitamenti al gioco, unpunto di partenzaper l’immaginazione. Il bambino dimostra che nulla può essere ridotto semplicemente alla sua funzione e che il gioco sempre oltrepassa l’utilità per risvegliare il sogno e allargare gli orizzonti della realtà.

Il giocattolo stimola la scoperta del mondo ed offre un mezzo per muoversi dentro quel mondo. Esso sostiene lo sviluppo, in ogni campo, delle potenzialità del bambino e ne favorisce la crescita.

Il giocattolo, al tempo stesso, è uno strumento che permette alla nostra società di guidare i bambini alla scoperta del mondo. Sin dalla sua nascita, secondo le regole e le possibilità del suoambiente sociale,secondo il suo sesso e sino al momento in cui entrerà nel mondo degli adulti, il bambino sarà in parte condizionato dai giocattoli che gli sono messi a disposizione. Gli forniranno infatti modelli di forma, colore, di composizione, di comportamenti, di miti, di morale.

Dall’età di tre mesi, allorché il bambino è in grado di afferrare oggetti esterni, il suo campo di esperienza si allarga aprendosi al mondo esterno. Il suo corpo non gli basta più. Allora appaiono giocattoli come l’animale in tessuto, l’orsetto di peluche, i differenti giocattoli colorati, dato che dagli otto mesi il bimbo è sensibile ai diversi colori.

Qualche mese più tardi, tra il primo e il secondo anno di vita, una quantità notevole di nuove attività si manifestano: riempire, svuotare, riempire di nuovo, far cadere, raccogliere, trasportare, spingere, tirare. Si gioca con palette, secchielli, carretti, automobili da trainare….Grazie a questi giochi, il bambino costruisce degli schemi motori, si esercita a ripeterli, li integra entro nuovi comportamenti. Nello stesso tempo che il giocattolo permette al bambino di improvvisare un linguaggio, lo aiuta a liberarsi dalle angosce, a trovare un equilibrio e delle sicurezze.

Le ricerche condotte da autori come Wallon, Piaget, Klein, Winnicot ci hanno aiutato a cogliere in tutta la sua portata l’importanza del gioco e del giocattolo. In particolare, in riferimento ad alcune componenti: l’affettività, lo sviluppo senso-motorio, l’immaginazione, la socializzazione.

La relazione madre/bambino si situa prima di tutto su di un piano organico a partire dal quale sorgeranno poi, per il bambino, le relazioni col mondo. Grazie alla madre, il bambino vive delle situazioni di sicurezza,  ma anche di frustrazioni indispensabili al suo sviluppo.

Ben presto, offerto dalla madre, il giocattolo entra nel mondo familiare del bambino. Diventa il suo compagno ed occupa un ruolo nel suo universo che rimpiazza talvolta la madre stessa.

Anche nell’attuale realtà, l’orsetto di peluche è l’animale/giocattolo più carico d’affettività. L’orso ha troppe relazioni con il mondo umano, a causa anche dei suoi tratti antropomorfi – sta in piedi sulle zampe posteriori,  si siede, gioca, danza, oscilla, ama i dolci –  per non essere considerato importante e significativo dai bambini. In tutte le società, dove si tiene conto di questo animale, gli uomini intrattengono con l’orso dei rapporti ambigui ed ambivalenti. Dalla Groenlandia alla Turchia, l’orso appare come un animale pericoloso e spesso è considerato un a sorta di rivale sul piano amoroso

Nel suo rapporto con l’orsetto di peluche, il bambino apprende delle emozioni mescolate ad apprendimenti senso-motori. Gli permettono di scaricare l’aggressività in eccesso e di superare le situazioni spiacevoli o mal vissute: l’orso è messo in quarantena, sculacciato…In queste occasioni l’orso è una speciedi confidente con ilquale si instaura un dialogo con se stessi.

La bambola è senza dubbio l’altro giocattolo tradizionalmente portatore di valori affettivi. La si ritrova in tutte le civiltà.

Questa universalità mostra bene come la bambola accompagni la vita del bambino occupando diversi ruoli: compagna di giochi, raddoppiamento del bambino stesso, ma anche della madre. Come l’orso, sia pure in modo più particolare, la bambola offre al bambino un soccorso prezioso quando questi è in crisi, o posto in situazioni di difficoltà o di cambiamenti che non possono essere sopportati con serenità e che provocano, invece, inquietudine: malattie, traslochi, l’ingresso a scuola…

La miglior bambola è senza dubbio quella che, senza meccanismi sofisticati, è facile da lavare, da pettinare, da cullare…la bambola è un meraviglioso oggetto da manipolare, da nascondere, da lanciare, da colpire, da punire. Essa deve essere riparabile facilmente, per essere sempre presente e per non mutare odore o le impressioni che suscita.

 Per uno sviluppo senso-motorio equilibrato

All’inizio il bambino gioca con il corpo della madre. Ben presto con il dentaruolo ….cerca di afferrarlo, di tenerlo, di manipolarlo in ogni modo. Lo porta in bocca, si emoziona per il piacere del movimento…impara a distinguere i sensi: riconosce il caldo, il freddo, il morbido, il leggero, il pesante…. E’ dunque opportuno offrire al bambino un ambiente ricco di sollecitazioni sensoriali, visive, uditive, tattili. E se prendiamo a esempio il tatto, si avrà cura di non tralasciare gli altri aspetti. Al bambino occorrono quindi dei giocattoli morbidi al tatto, dalla forma arrotondata, che diano l’impressione di un certo tepore, che egli potrà manipolare, toccare, accarezzare con il suo corpo, con il suo viso e paragonarli al corpo della madre, che così gli serve dapunto di riferimento.

In seguito, crescendo, per favorire l’esplorazione dell’ambiente circostante, immediato e per rendere più fine ed efficace la sua motricità; bisognerà offrire al bambino dei giocattoli che si muovono, con le ruote, che può trainare o spingere. E ancora, dei giocattoli che stimolano una coordinazione tra l’occhio ela mano. Deigiocattoli che abbiano un peso, dei colori, che emettano dei suoni riconoscibili quando sono in funzione.

Queste scoperte, queste manipolazioni operate con tutte le parti del corpo, permette al bambino di “ fare l’inventario” delle qualità di un oggetto e, ripetendo queste esperienze, di assimilarle e di padroneggiarle.  Certamente i giocattoli non sono i soli oggetti che permettono questa evoluzione, ma se ben scelti, senza essere troppo numerosi, senza assalire il bambino, essi partecipano alla costruzione dell’intelligenza senso-motoria.

 Imitazione e creatività

Il bambino ripete nei suoi giochi le impressioni che vive. Riproduce, imita e, per i più piccoli, l’imitazione è la regola dei giochi. Effettivamente il bambino riproduce le attività dell’adulto. Egli cucina, guida un’automobile come vede fare ai genitori. Questa imitazione è stimolata – benché ciò non sia talvolta necessario – dalla presenza dei giocattoli adeguati. Se il bisogno di supporto, di un oggetto diviene imperioso, il bambino è portato a cercare degli oggetti sostitutivi i cui dettagli suggeriscano l’insieme: un ramo può diventare una pistola, una scatola di cartone diventa un camion. Il giocattolo che corrisponde all’intenzione del gioco è utilizzato con priorità, ma potrebbe essere sviato dalla sua funzione originaria in un secondo momento dal gioco stesso. I materiali più comuni sono spesso all’origine di giochi molto diversi: la terra, la sabbia, l’acqua, l’aria, la luce, gli elementi naturali provenienti da piante o animali e quei prodotti quali tessuti, fibre, cartone, legno, materie plastiche, carta. Si potrebbero citare altri materiali, sovente trasmessi dalla società e dai modi di vita attuali: i tappi di sughero che galleggiano, gli elastici che fungono da propulsori, i vasetti di yogurt che diventano maracas, le scatole di conserva come tamburi, le bottiglie traformate in birilli, materie plastiche che diventano battelli; il cartone da imballaggio che si trasforma in auto, mobili, case… la corda, la lana per le marionette, i tubi di cartone per i caleidoscopi, tutto, dall’accendino abbandonato dall’adulto che diviene una macchina da corsa, sino al tubo sul quale si arrotola la moquette e si trasforma in tam-tam gigante, può diventare compagno di gioco.

Questo diritto al gioco libero, alla libera ricerca deve essere preservato. E’ la condizione essenziale per l’esercizio dell’immaginazione e la base della creatività.

SCELGLIERE UN GIOCATTOLO

Il  gioco  rappresenta  una  condizione  indispensabile  di  sviluppo  per  le  bambine  ed  i bambini. L’infanzia senza il gioco è deprivata, manomessa, tradita. Si potrebbe dire  che il gioco è un modo per le bambine e i bambini per cercare di capire come si fa a  diventare  grandi.   Rappresenta  un  modo  per  mettersi  alla  prova.  E’  un  modo  per crescere.

L’abbondanza  di  giocattoli che  il  contesto  economico e  sociale  di  oggi  mette  a  disposizione dei  bambini  è una caratteristica  tipica  della nostra  epoca  e della  nostra cultura.

Ora  i  bambini  hanno  la  possibilità  di  possedere molti  giocattoli, di  usufruirne con una certa  abbondanza  e  senza  particolari  problemi.  Altrettanto avviene  anche per i  materiali didattici. Solamente oggi sembra  che esistano  le  condizioni  per rispondere  positivamente  al  diritto dei bambini al gioco e  al giocattolo.

Ma  fino  a  che  punto  possiamo  sentirci  tranquilli?  Riteniamo  davvero  che  questo problema  sia  definitivamente  risolto?  Tutti sono concordi che il gioco rappresenta una condizione  indispensabile  di crescita. Non  bisogna  però  dimenticare che  i giocattoli sono prodotti dagli adulti e sono, generalmente, destinati a rappresentare modelli culturali  e  concezioni  educative  tipiche  dell’età  adulta.  In  questo  modo  il  mondo  degli adulti, dichiarandosi disponibile a favorire il gioco, ne può controllare le modalità di realizzazione e può,  se vuole, condizionarlo in molti modi.  Il rischio  è perciò  di vedere  il  giocattolo ed il gioco deformati nel loro  significato e ghettizzati entro recinti rassicuranti. A questo si aggiunge che l’abbondanza, tipica della nostra epoca, di giocattoli che è possibile porre alla portata dei bambini porta inevitabilmente con sé il tarlo della solitudine.  Mai  come  oggi  i  bambini  sono  soli  e  questo  fenomeno  risulta  ancora  più acuto da quando i giocattoli navigano sicuri nel grande mercato dei media, trasportati  dalla  Tv,  spinti  dal  commercio  via  etere.  Bambini  soli  davanti  al  televisore  da  una parte e giocattoli solo da vedere e non toccare dall’altra. La televisione diventa in  questo  senso l’incessante veicolo dei  desideri, l’inarrestabile  macchina  che  insegna a pretendere di avere tutto e subito. A tutto questo si  aggiunge  anche  un altro  elemento. La  recente  enorme  diffusione dei  giochi  virtuali  attraverso  l’uso  del  computer  aumenta  forse  questa  distanza  e questa solitudine. Se da un lato il nuovo impatto di oggi offerto dall’informatica (con l’immensa  ragnatela  elettronica  e  la  disponibilità di  giochi virtuali sempre più  sofisticati) non deve in  sé essere  demonizzato, è anche  vero che  si tratta di un  nuovo mondo dai confini quanto mai incontrollabili e dalle regole quanto mai incerte.

Se guardiamo con occhio attento la condizione dell’infanzia nella nostra società, pur senza volere misconoscere gli aspetti vantaggiosi e positivi che l’hanno caratterizzata, non  possiamo evitare di rilevare una serie di risvolti negativi.

Il comportamento della nostra  società nei confronti dell’infanzia è decisamente ambiguo. Il grande investimento da  essa  operato  ha determinato l’affermazione di una  duplice condizione.  Da un  lato  il  diffondersi di  un  atteggiamento sempre più  protettivo  degli adulti  nei confronti dei bambini  porta in  non  pochi  casi ad  una  situazione di  emarginazione  e di passivizzazione: i bambini  sono sempre più soli e sempre  meno autonomi. Sono permanentemente dipendenti, incapaci di scegliere in modo autonomo. Dall’altro  la  scoperta  da  parte  degli  operatori  economici  dell’infanzia  come  nuovo fattore  di  sviluppo  dei  consumi  (i  bambini  costituiscono  cioè  un  nuovo  mercato) porta  gran  parte dell’industria a  vedere l’infanzia  da un punto  di vistapressoché esclusivamente  consumistico. 

Il bambino viene  trattato con  lo stesso rispetto e  con la stessa attenzione che viene accordata al consumatore  ed al cliente. E, a ben vedere, si tratta di un cliente tutto sommato non  molto esigente, facile da convincere  perché quasi sempre incondizionato entusiasta di qualsiasi prodotto. In questo mo-do,  il  bambino  finisce  per  essere  doppiamente  prigioniero:  da  un  lato  si  trova  intrappolato in  una situazione  di dipendenza totale  dagli adulti  anche per quanto  riguarda appuntoil gioco edall’altro dal trovare appagamento nei consumi.

Il bambino-cliente  finisce  così  con  l’essere  sempre  più  oggettivato  e  strumentalizzato;  si trova cioè a pagare un prezzo elevato per divenire soggetto attivo della propria crescita  e  per  la  conquista  della  propria  autonomia  dai  condizionamenti  del  contesto sociale.

 

Quali sono i giocattoli più adatti ?

Ecco la grande domanda che spesso sentiamo fare, ma alla quale non è facile rispondere.

Si potrebbe pensare che i “giocattoli giusti” siano quelli che assolvono perfettamente alla funzione per la quale sono stati costruiti. Ma abbiamo visto un telefono che non serviva per telefonare, ma che sostituiva un giocattolo da trainare; un bellissimo camion dei pompieri servire piuttosto ad attaccare dei nemici immaginari che a spegnere degli incendi. Non c’è alcuna ragione per cui un bambino in casa non possa giocare con degli utensili da cucina, come dei coperchi o dei cucchiai di legno a guisadi tamburi e batacchio.Probabilmente preferisce questo ai giocattoli che si vendono in commercio. La maggior parte dei giochi di costruzione, ad esempio, sono un po’ come le parole crociate: qualcuno li ha fatti prima di noi, e così la soluzione non è mai originale.

“Io non so né inventare, né suggerire un giocattolo educativo, ma sono certo che il mondo dei giocattoli attende un mago che comprenda il cuore dei bambini meglio dei fabbricanti di giocattoli oggi” (A. Neil – I liberi bambini di Summerhill)

Ma sembra necessario che i ragazzini abbiano la possibilità di giocare “a cucinare”, a vestire una bambola, anche se l’attenzione accordata è effimera; e che le bambine possano organizzare dei circuiti con le macchinine. Questo va nella direzione della ricerca del piacere di partecipare veramente alla costruzione della propria personalità.

Ciò non vuol dire rispettare certi inevitabili processi di identificazione, attivati dal contestosociale e storico.Vuol dire soltanto saper offrire un modello non stereotipato, saper proporre al bambino degli esempi relazionali diversi  da quelli utilizzati dalla pubblicità per vendere “il vero uomo” o “la donna perfetta”.

Quale che sia il giocattolo, occorre esigere:

mon presentare dei pericoli: attenzione alle armature metalliche o agli occhi staccabili dagli animali di peluche, attenzione ai giocattoli che possono provocare dei danni o alle chiusure che possono provocare dei guai ai più piccoli;

l’estetica e la somiglianza: i bambini hanno una viva preoccupazione per la verità e, allorquando, i giocattoli sono la riproduzione di oggetti che vedono attorno a loro, esigono delle riproduzioni fedeli. Essi sono molto attenti ai dettagli. Sono da evitare certe bambole e certi pupazzi grotteschi e caricaturali: fanno ridere gli adulti, ma disorientano i bambini;

la buona qualità e la solidità: le piccole macchine da cucire devono cucire veramente; gli attrezzi permettere dei veri lavori (al livello delle possibilità del bambino). E’ importante, poi, potersi servire più volte del nuovo giocattolo… nel corso di un’inchiesta è in fatti emerso che molti bambini sono scontenti di certi giocattoli poiché non erano abbastanza solidi e duraturi.

Ma come scegliere bene  un giocattolo?

Spesso sentiamo i genitori lamentarsi: “ha talmente tanti giocattoli che non li guarda neppure”; “gli compriamo unsacco di giocattoliche poi lui rompe”;…Secondo il parere di molti psicologi , la maggior parte dei soldi spesi per i giocattoli sono mal impiegati.

Da qualche anno, a seguito della presa di coscienza dell’importanza dei giocattoli, sono stati fatti degli sforzi considerevoli: da un lato alcuni costruttori hanno prestato attenzione all’adattabilità del loro “prodotto” ai bisogni dei bambini sia sul piano fisico che psichico; dall’altro  gruppi di “negozianti specializzati” si sono preoccupati di operare delle selezioni in funzione di certe esigenze educative. Inoltre si sono sviluppate le ludoteche….. Da questi sforzi non è naturalmente emersa “la ricetta del miracolo” la “lista tipo” che permette di risparmiare ai genitori l’imbarazzo della scelta.

Una definizione si può comunque offrire: un buon giocattolo è quello che è adatto all’età, al sesso, alla personalità, alle possibilità, alle sue condizioni di vita (un tamburo non è un buon regalo se vive in una casa mal insonorizzata..).

E vi sono anche alcuni criteri.

 …è fonte di gioia…

Quindi deve dar piacere al bambino e non alla persona che lo offre. Non è  perché voi avete sognato per tutta la vostra infanzia di avere una bambola che parla e cammina, o di avere un trenino elettrico che il destinatario del regalo avrà voglia di averlo ora.

Allo stesso modo non è detto che il bambino sia sensibile al giocattolo di prestigio, all’oggetto costoso “ad effetto” soprattutto per gli adulti. Un giocattolo troppo bello e troppo caro rischia, al contrario, di diventare un soprammobile piuttosto che un compagno di giochi. “La bambola che la zia mi aveva regalato era troppo bella per giocarci. Avrei potuto rovinarla”

 …e di creatività…

Poter giocare è un’esigenza fondamentale. Il giocattolo deve offrire al bambino la possibilità di agire, materialmente, concretamente o attraverso l’immaginazione.

E’ bene che vi siano differenti modi di utilizzare un giocattolo o un gioco: la bambola può essere vestita e svestita, i veicoli saranno migliori se potranno stimolare diversi usi. Certi giocattoli ultraperfezionati sono presto accantonati dai bambini poiché impongono un atteggiamento troppo passivo e ripetitivo.

I migliori giocattoli sono quelli che fanno appello all’iniziativa, all’immaginazione creativa del bambino: per questo psicologi e pedagogisti sono concordi nel valorizzare quei giochi o giocattoli che implicano la manipolazione: carta, colori, corda, creta…

Allo stesso modo, i giochidi montaggio e lecostruzioni, permettono di assemblare, inscatolare, etc. Permettono al bambino di mettere alla prova la sua abilità, offrono un alimento alla sua fantasia creatrice e gli danno la gioia del fare, di fabbricare qualcosa di originale. Condizione essenziale è naturalmente, avere a disposizione il materiale  necessario,  niente è  più  frustrante che interrompere il proprio gioco a causa della mancanza di materiale. A parità di prezzo è meglio offrire una borsa con molti elementi piuttosto che una bella scatola ben rifinita, ma con pochi elementi.

Rispettare le tappe dello sviluppo del bambino …

Un principio essenziale: il giocattolo deve essere adattato all’età del bambino, o più esattamente alla sua “età ludica”, ai suoi bisogni e alle sue possibilità di quel momento.

Un gioco troppo difficile può affaticare, disorientae rischierà di esserepresto rotto. Un giocattolo troppo facile, non apporta nulla al bambino, lo annoia, si sente trattato da bebè. La difficoltà è che il gioco essendo il riflesso dell’evoluzione intellettuale ed affettiva del bambino è per ciascuno secondo un ritmo originale. Infatti è impossibile poter dire: “questo giocattolo piace a tutti i bambini di 10 anni”.

Non è raro vedere un bambino “grande” nuovamente interessato, per un po’, alla scatola dei cubi del fratello più piccolo, o vedere una bambina già grandicella  giocare con piacere con una bambola.

Ciò che possiamo dire è che i giocattoli rispondono a differenti funzioni: c’è il giocattolo da amare,  quello che serve ad esercitare delle nuove acquisizioni psico-motorie, c’è il giocattolo per “imitare”, per esprimere la propria ricchezza immaginativa, altri giocattoli stimolano degli apprendimenti sociali. Tutti questi giochi coesistono durante tutto lo sviluppo  del  bambino,  ma  a  seconda  a  dei

momenti, tale aspetto o tal altro assume un ruolo più importante.

Perché costruire dei giocattoli

Saper scegliere un giocattolo è importante, ma in questo libro vi proponiamo di costruire dei giocattoli. La nostra idea è che, in unambiente educativo, il fatto di poter costruire per i bambini ed in parte coi bambini , degli oggetto con cui giocare, aggiunge un plusvalore al giocattolo ed al piacere del gioco stesso. I criteridi scelta di ungiocattoloche abbiamo cercato di esplicitare nei paragrafi precedenti sono tanto più validi e, soprattutto, applicabili, se ci mettiamo, da educatori, nella condizioni di costruire noi stessi i giocattoli ed i giochi.

Organizzare una piccola “bottega” di costruzione giocattoli all’interno della scuola (dal Nido alla Scuola Materna, dalla Primaria alle Medie, è lo stesso) , non è solo un gesto “organizzativo”, ma esprime un progettualità ed una visione del mondo significativa. Che possiamo sintetizzare così: passare da una posizione di consumo ad una posizione di autonomia creativa. Molto semplicemente costruirsi un giocattolo significa poter uscire da una dimensione di serialità e di omologazione per entrare in una dimensione artigianale e pertanto originale.

I bambini della nostra società nuotano in un mare di oggetti. Ci sono gli oggetti degli adulti, oggetti domestici, oggetti maschilie femminili. E poigli oggetti dei bambini, in particolare i giocattoli, oggetti educativi, oggetti decorativi, oggetti antichi e contemporanei. Oggetti d’arte, di tradizione popolare, di lusso opposti a quelli dei mercatini, oggetti industriali, oggetti di serie, di importazione, esotici, manufatti. Oggetti utili e funzionali. Oggetti iniziatici, simbolici, sacri.

La lista delle differenti categorie di oggetti che ci circondano è lunga. Gli oggetti arredano gli spazi nei quali noi viviamo e nei quali i nostri bambini crescono. Henri Wallon ha mostrato che il bambino dalla sua nascita (e si può dire dal suo concepimento), è un essere relazionale, le cui potenzialità si sviluppano in rapporto all’ambiente che lo circonda e agendo su e con questo ambiente.

“Gli oggettie prima di tuttoquelli più prossimi, gli oggetti fabbricati, la sua tazza, il suo cucchiaio, il suo piattino, i suoi vestiti, l’elettricità, la radio, le tecniche più ancestrali come le più recenti sono per lui fastidio, problema o aiuto, lo respingono o lo attirano e strutturano le sue attività.” (H. Wallon citato in “L’objet, les objets” di Robert Lelarge” in “L’activitè manuelle”, Parigi,1997, pag 58).

Il fatto è che l’atteggiamento dei bambini ed anche degli adulti, verso gli oggetti è sempre d più un rapporto passivo, di consumo. Sembra quasi che la nostra tecnologia liberandoci dal fastidio di produrre direttamente gli oggetti per la nostra vita, ci abbia anche privato dell’uso della mano. E di conseguenza anche dell’uso del cervello, della nostra immaginazione, della nostra capacità di affrontare praticamente i problemi della nostra vita materiale, compresa quella legata alla dimensione ludica.

 Costruire: ovvero la scoperta di poter agire sulla materia, di piegarla alle nostre intenzioni, di manipolarla a piacere, rappresenta un momento concreto che combina la dimensione dell’immaginario a quella del fare. E’ questa dimensione che occorre recuperare. Ogni persona che riesce a fare da sé un oggetto, meglio ancora per il suo piacere,  prova una soddisfazione molto diversa da quella che si può provare acquistandolo. Si tratta di rivalutare una cultura della manualità e della produzionepersonale di contro ad una monocultura del possesso. Oggi tutto si può comprare e tutto si può avere senza fatica. Ma costruire un proprio caleidoscopio è infinitamente più educativo che comprarlo già fatto. Sarà meno preciso, ma sarà più “nostro”. Perché sarà anche la testimonianza di un  percorso, di un processo che c ha visti attori protagonisti e non solo fruitori passivi. E non importa se, lavorando coi bambini piccoli, loro non possono fare granché: magari giusto tenere ben tesala carta velina mentre noi la tagliamo per fare una manica a vento. I bambini avranno però visto un adulto, che si occupa di loro, costruire con le sue mani un oggetto col quale giocare, correre e farlo volare; ed avranno ricevuto un messaggio importante: le cose non nascono dal nulla. Pertanto se riusciamo a determinare, da educatori, questo contesto d’investimento personale  scopriremo delle belle novità.

“L’oggetto costruito non è autonomo. Questa creazione del bambino fa parte del bambino stesso. L’oggetto è legato al passato del bambino, al suo avvenire immediato o prossimo. L’oggetto è sia la prova che il motore della sua crescita” (Robert Lelarge, “L’objet, les objets” in “L’activitè manuelle”, Parigi,1997, pag 58-59).

Nella costruzione di un oggetto, di un giocattolo, la persona può acquisire coscienzadi sé e conessa, fiducia in se stessi. Troppo spesso abbiamo a che fare con bambini distratti, svogliati, forse frustrati paradossalmente perché sommersi da oggetti che trovano già a disposizione e verso i quali non  hanno un profondo investimento affettivo. Tale situazione genera ben presto anche forme di disistima verso se stessi e di scarsa autonomia personale.

Ma non si deve dimenticare che ogni individuo è impegnano in relazioni pratiche col mondo esterno e che da tali rapporti emerge, più o meno consapevolmente, il bisogno di trasformare questo mondo e se stessi, nella misura in cui ne fa parte. Ciascuno di noi sa bene quanto sia importante poter imprimere un proprio segno personale al mondo del quale facciamo parte.

Ed è importante per potersi riconoscere, nella forma delle cose, per gioire di sé come di una realtà in mezzo agli altri. Il bambino è tanto più contento se l’azione ludica che egli vive è il frutto di una sua abilità, di un suo gesto, insomma se partecipa attivamente.

 “Una cosa prodotta da un bambino non è qualcosa di esterno al bambino stesso. Essa contiene un po’ di lui stesso, ha il suo marchio e non solo la sua firma. Ogni oggetto prodotto comporta qualcosa di lui proprio nel senso di un dono di sé. L’oggetto fabbricato supporta, contiene, trattiene il dono che il bambino fa” (Tony Laine, “L’agir” in “L’activitè manuelle”, Parigi,1997, pag. 39)

Ma c’è di più. “L’oggetto è un testimone indispensabileper lacomprensione della storia degli uomini. Gli oggetti archeologici fanno rivivere i mondi antichi ed ancora meglio se li troviamo in luoghi in cui erano presenti degli esseri viventi. Questi oggetti assumono così una dimensione importante diventando dei segni della nostra umanità”. (Robert Lelarge, “L’objet, les objets” in L’activitè manuelle”, Parigi,1997, pag. 59).

In questo senso, costruire un oggetto, è il segno della storia del suo costruttore, della vicenda personale che ha accompagnato quella realizzazione, delle difficoltà vissute e superate, del desiderio che assumeva una forma e che andava a collocarsi in una dimensione di realtà.

 

 

 

 

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